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Scrivere | I consigli degli scrittori

COME MIGLIORARE IL TUO STILE DI SCRITTURA

«Quando scrivo non mi faccio nessun tipo di scrupolo: non penso mai se posso o non posso dire una cosa che voglio dire». Valeria Parrella

Scrivere libri

Gli scrittori studiano. Sì, anche gli autori di bestseller. Studiano manuali per scrittori, non perché altrimenti non saprebbero scrivere bene (il talento non si impara: vedi la n° 1 delle Sette regole per l’esordiente), ma perché probabilmente, se non studiassero, non saprebbero scrivere così bene! I manuali, del resto, non fanno altro che codificare i ‘segreti del successo’ che si deducono leggendo i migliori autori di sempre. Anche se non capiti tra gli scaffali di una libreria inglese o americana, puoi comprare su Internet qualsiasi tipo di manuale di scrittura. Ma puoi anche rifarti ai consigli ‘diretti’ degli autori, che si svelano in saggi e interviste…

Lo stile

Aggettivi

Un buon principio è usarne lo stretto indispensabile: la sovrabbondanza di aggettivi è tipica dei principianti. Se trovi l’aggettivo ‘giusto’, però – scrive Horacio Quiroga – «da solo avrà un colore incomparabile».

Avverbi

C’è chi pensa che se ne debbano usare il meno possibile. «Usare avverbi è un peccato mortale», scrive Elmore Leonard: è un’intromissione dell’autore che interrompe il ritmo, distrae il lettore e indica che il personaggio, senza avverbi, non si saprebbe esprimere in modo efficace. L’avverbio da aborrire? Per lui, “Improvvisamente”.

Dire, o…

Qui la questione è controversa. Alcuni scrittori, in primis quelli minimalisti (come Raymond Carver), sostengono che il miglior modo per concludere un discorso diretto sia un semplice “disse”.

Altri, in nome della varietà, consigliano di ricercare vocaboli differenti – usandoli appropriatamente: mormorò, parlò, esplose, gridò, avvertì, confidò, borbottò, ecc. Quest’ultima soluzione può essere indicata in alcuni casi, ma il consiglio è di non dimenticare che la virtù sta sempre nel mezzo…

Originalità

Uno scrittore non dovrebbe essere mai banale, ma distinguersi con uno stile proprio. Un buon modo di raggiungerlo è esprimere i concetti in modo originale. Lo fa molto bene Fabio Delizzos, come vediamo negli esempi, tratti da La cattedrale dell’Anticristo (Newton Compton, 2011).

“La pioggia frigge sui tetti” non rende l’idea molto meglio di “piove”?
“Basette che gli colavano lungo le guance” descrive più di “lunghe basette”.
Una “mano vestita di bianco” non è più suggestiva di una solo “guantata”?
E che dire del sole celato all’improvviso da una “palpebra plumbea”?
Ecco come Delizzos descrive in modo unico un temporale:

Il primo tuono fu così improvviso e vicino che fece levare tutti gli sguardi al cielo. Cadde una goccia sulla fronte. Una sulle labbra. Una in un occhio, che si chiuse di scatto. Una folata di vento e una cascata di gocce, come perle cadute da una collana rotta. Poi infuriò il temporale.

Punteggiatura

Per la punteggiatura valgono le regole che trovi su un buon testo di grammatica (non sul Web: spesso sono errate). L’ideale sarebbe ottenere le norme tipografiche di una buona casa editrice, che comprendono anche le regole sulla punteggiatura – che ciascuno di noi dovrebbe aver imparato alle scuole elementari! Un consiglio sempre valido è di non usare molti punti esclamativi (per Elmore Leonard, non più di 2-3 ogni 100.000 parole).

Narratore

punto di vista: terza persona…

Qualche scrittore consiglia di scrivere sempre in terza persona: ciò consente di avere una visuale più ampia sugli eventi narrati, senza limitarsi a ciò che può sapere, vedere, sperimentare un solo personaggio.

Il narratore in terza persona può essere un osservatore esterno a cui non sfugge nulla, che conosce tutti gli eventi ma non vi prende parte (narratore onnisciente); o può coincidere con uno dei personaggi, di cui esprime il punto di vista (terza persona limitata). In questo caso, dovrai sempre tenere presente cosa sa e cosa non sa (e quindi non può dire!) il personaggio narrante.

…o prima persona?

Dovresti scegliere di narrare da un unico punto di vista (che può essere quello del protagonista, o di un personaggio secondario) quando «una voce in prima persona si offra irresistibilmente di narrare la tua storia» (Jonathan Franzen). Questo punto di vista è il più adatto, ovviamente, nel caso si scelga la struttura del diario: Il diario segreto di Adrian Mole, Il diario di Bridget Jones, Il diario di Lara. Il personaggio che narra le vicende non può conoscere ciò che fanno, dicono, pensano gli altri protagonisti del libro, e sarà dotato di un suo personale modo di essere, che influenzerà tutta la narrazione.

Il rischio per l’autore? Immedesimarsi completamente nel narratore e fargli vivere esperienze troppo simili alle sue. Il suggerimento per lo scrittore: prendere spunto dalla propria vita, ma mixare con l’invenzione!

punti di vista multipli

Molti autori di bestseller risolvono il problema del punto di vista strutturando il loro romanzo in scene, in ognuna delle quali prevale a turno il punto di vista di un diverso personaggio. Lo fa, ad esempio, Dan Brown ne ll codice da Vinci, o John Le Carré in La spia perfetta. È un metodo che lascia il lettore con il fiato sospeso (non a caso è usato nei thriller) e permette ai personaggi di raccontare se stessi, senza fastidiose intromissioni dell’autore.

I personaggi

Chi sono?

Dei suoi personaggi, ogni autore deve sapere tutto, anche se scriverà soltanto quel che è funzionale alla trama. I manuali sono concordi nel suggerire di tenere un ‘registro’ dei personaggi, con le loro caratteristiche: età, situazione familiare, background, tendenze, gusti, carattere… Servirà a mantenerli sempre coerenti con se stessi.

Come si chiamano?

Lo sceneggiatore Age suggerisce i nomi trisillabi («meglio evitare quelli brevi (in italiano, i bisillabi): si impastano con la parola che li precede o segue»). I nomi non devono mai essere scelti a caso: devono definire i personaggi, adattandosi completamente a loro. E i cognomi? Meglio evitare quelli associabili a personaggi noti.

Come parlano?

Va da sè che ogni personaggio deve parlare coerentemente con il suo status sociale, culturale, economico, professionale, con la sua età… Il suo modo di esprimersi non deve contrastare con la sua natura e deve renderci manifesto il suo modo di pensare. Non bisogna tuttavia esagerare con gergo e dialetto; un tocco di colore linguistico per caratterizzare un personaggio può essere una buona idea, purché non sia così frequente da appesantire i dialoghi.

La trama

Gli obiettivi

In ogni storia, il protagonista ha un obiettivo, per raggiungere il quale dovrà superare molti ostacoli (più sono, meglio è: gli scrittori esperti consigliano di ‘strapazzare’ i personaggi, mettendoli a dura prova). Che l’obiettivo del protagonista sia trovare l’amore, salvare il suo onore, farsi accettare, ottenere giustizia, tirarsi fuori da un guaio o salvarsi la vita, il suo creatore dovrà farglielo raggiungere in maniera concreta. «Ogni storia che si rispetti è tale solo se il tuo personaggio si sente amato, accettato o viene discolpato in seguito al raggiungimento di un obiettivo concreto, fisico», scrive l’Imbrattacarte. Ecco come Amanda Patterson descrive i 5 obiettivi di una storia che definiscono una trama:

  • ottenere qualcosa di concreto
  • causare qualcosa di concreto
  • scappare da qualcosa di concreto
  • risolvere qualcosa di concreto
  • sopravvivere a qualcosa di concreto

La “rimonta”

Quella che in gergo viene detta la “rimonta” è un piccolo ma utilissimo espediente per rendere più avvincente la trama. Age la definisce «un precedente narrativo che viene seminato e avrà una ‘conseguenza’». In pratica, lo scrittore presenta al lettore un avvenimento apparentemente casuale e/o poco importante, che però, più in là nella trama, darà vita a uno o più eventi, contribuendo a far avanzare la trama con un effetto sorpresa.

Le descrizioni

Atmosfera

Per Clara Sanchez , «L’intreccio e l’atmosfera sono inseparabili. L’atmosfera di un romanzo è costituita dai desideri, dall’amore, dal senso di fallimento, dalla paura, dall’insicurezza, che abitano le anime dei personaggi.»

Dettagli

Stephen King scrive che «la rappresentazione non prende forma dalla penna dello scrittore, bensì nella mente del lettore.» Per consentire a chi legge di rappresentarsi mentalmente una scena e di esserne coinvolto, «mantenete i dettagli che vi colpiscono di più, quelli che vi sembrano più chiari, tralasciate tutto il resto», suggerisce King. Mai fornire tutti gli elementi, dunque, ma solo i dettagli sufficienti a suscitare una sensazione. «Poiché, come tutti noi sappiamo, il piacere della lettura è il piacere di visualizzare una scena nella propria mente, di essere l’unico a immaginarla in un certo modo.»

Show, don’t tell

Su questo sono d’accordo tutti. Mostra, non raccontare. Non descrivere ciò che accade: fai che il lettore lo capisca da sè, attraverso i dialoghi, le azioni, i comportamenti e le reazioni dei personaggi (come avviene, ad esempio, ne Il diario di Lara). Ciò vale anche per le descrizioni fisiche: evita i dettagli, ma trova un modo per dare al lettore un’idea, anche esteriore, dei protagonisti.

‘Tridimensionalità’

«Quando scrivo cerco di vedere in tre dimensioni […]. Mi piace pensare ai colori, alle forme, alle facce, agli oggetti», ha dichiarato Don De Lillo. Fai come lui: non limitarti alle descrizioni astratte e generalizzate, ma colpisci il lettore con i dettagli a tutto tondo.

Le parti del testo

Inizio (incipit)

Horacio Quiroga sostiene che le prime tre righe di uno scritto siano fondamentali, al pari delle ultime tre: servono infatti ad ‘agganciare’ il lettore e a spingerlo a continuare la lettura. Mai esordire descrivendo il tempo atmosferico (del genere “Era una notte buia a tempestosa…”): Elmore Leonard garantisce che il lettore si annoierà.

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Capitoli

Capitoli brevi o lunghi? Per Valerio Massimo Manfredi, «i capitoli brevi danno molta dinamicità al testo e consentono una grande varietà di soluzioni. È come avere una macchina con molti snodi, ingranaggi, punti in cui le parti si muovono. Più sono numerosi questi punti di snodo più è dinamica la vicenda. Capitoli più lunghi, più varii, ci danno la possibilità di dilatare il nostro racconto, di dargli consistenza, un ritmo».

Finale

Secondo il noto sceneggiatore Age, «La fine sarebbe meglio averla in mente subito, o comunque molto presto»: sapere dove andremo a finire agevola il percorso di scrittura. Age continua: «una buona regola […] è che il finale sorprenda, ma senza frodi, che sono sempre pericolose» (senza violare con trovate scorrette, cioè, quello che si chiama il “patto narrativo” tra autore e lettore). Ancora: «È importante che il finale sia imprevedibile e, soprattutto, che sia uno; che colga lo spettatore in attesa».

Prologhi ed epiloghi

Gli scrittori consigliano di evitarli, soprattutto se nel testo è già presente un’introduzione o una prefazione; i lettori mostrano di non gradirli, forse perchè contravvengono, per loro natura, alla regola dello “show, don’t tell”. Se ci occorre far conoscere ai lettori i retroscena della storia, invece che in un prologo possiamo inserirli all’interno del racconto.

Manuali di scrittura

con la collaborazione de L’Imbrattacarte

Blog per scrittori

Imbrattacarte. Consigli di scrittura creativa per giovani scrittori