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Ingiuria | Minacce e estorsione

RICEVO INGIURIE E MINACCE DAI VICINI DI CASA

Trasferitami in una nuova casa, ho avuto subito problemi con i vicini del piano di sotto: dopo alcune discussioni, ho subito un tentativo di scasso e numerosi dispetti, ammessi dai vicini stessi con la dichiarata intenzione di estorcermi denaro e con la minaccia, se non avessi pagato, di danneggiare gravemente le mie proprietà. Non potendo pagare, ho ricevuto minacce sempre più pressanti e insulti, oltre che una querela per fatti non corrispondenti alla realtà. Il mio avvocato non ha seguito adeguatamente la causa e sono stata condannata. Vorrei giustizia. Lettera firmata 🙂

Risponde l’avvocato Silvia Bardesono

Gentilissima Sig.ra,
a seguito di un’attenta lettura della Sua comunicazione, Le consiglierei di sporgere una denuncia querela nei confronti dei Suoi vicini di casa, qualora perpetrassero la condotta descritta. La querela non è altro che l’atto con cui la persona offesa da un reato manifesta la volontà che si proceda nei confronti del suo autore. Non richiede formule particolari, bensì può essere proposta personalmente oltre che a mezzo di procuratore speciale.
L’unica accortezza richiesta è che deve essere proposta entro e non oltre tre mesi dal giorno in cui è accaduto il fatto.
Non è necessario recarsi presso la Procura della Repubblica, essendo sufficiente rivolgersi al commissariato di Polizia o alla Caserma dei Carabinieri della cui zona in cui si risiede.

Nel caso di specie sono dell’avviso possano integrarsi i reati di ingiuria, minacce e lesioni personali. Il reato di ingiuria, di cui all’art. 594 c.p., punisce chiunque offende l’onore e il decoro di una persona; dove, con offesa all’onore, si fa riferimento alle qualità morali della persona, mentre con offesa al decoro ci si riferisce alle altre qualità della persona oltre che alle condizioni che ne determinano il valore sociale (si pensi all’espressione “non degna cittadina” usata nei Suoi confronti). Trattasi, pertanto, di un delitto contro l’onore e che in quanto tale potrebbe concorrere materialmente con la contravvenzione di turpiloquio, prevista dall’art. 726 c.p. in quanto l’offesa è stata fatta in luogo pubblico o aperto al pubblico con un linguaggio contrario alla decenza, come mi pare di ravvedere nell’episodio da lei riportato.

La minaccia è un reato punito dal codice penale con una multa o nei casi più gravi con l’arresto sino ad un anno. Il reato sussiste quando si prospetta a qualcuno un male futuro, un danno ingiusto, con parole o in atti, in modo espresso o tacito, ma comunque in grado di turbare o di diminuire la libertà psichica e morale della vittima (art. 612 c.p.).
Si commette il reato di minacce con ogni manifestazione esterna che a mezzo della quale, a fini intimidatori, venga rappresentato a un soggetto un male ingiusto, che possa essergli causato dal colpevole, o da altri per lui, nella persona o nel patrimonio. Si può commettere il reato di minaccia con ogni mezzo e con ogni comportamento. È necessario però che essi siano idonei a suscitare in chi li subisce il timore o la preoccupazione di dover sopportare o soffrire un male ingiusto. Nel caso in cui la minaccia sia particolarmente grave o sia stata posta in essere con armi, o da più persone riunite, o da persone che si sono rese irriconoscibili perché “travisate” non è necessaria la querela. Si procede d’ufficio, bastando che il magistrato abbia ricevuto in qualche modo la notizia del fatto.
Inoltre, non occorre che la minaccia si realizzi in presenza della persona offesa. È solo necessario che questa ne sia venuta a conoscenza anche tramite altra persona, in un contesto però che faccia ritenere che l’agente abbia la volontà di produrre l’effetto intimidatorio.

Il reato di lesioni personali dolose, di cui all’art. 582 c.p., stabilisce che chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo e nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni. Se la malattia ha un durata non superiore a 20 giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti di cui agli artt. 583, 585, c.p. il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Le lesioni dolose si verificano quando il soggetto che agisce pone in essere e desidera la realizzazione dell’evento (in quelle colpose, invece, il fatto si realizza e viene imputato per negligenza, imperizia e imprudenza al soggetto che agisce). In base alla durata della malattia la lesione può essere distinta in: lievissima (durata della malattia inferiore a 20 giorni), lieve (non inferiore a 20 e non superiore a 40 giorni), grave (la malattia produce un indebolimento di un senso o di un organo permanente o mette in pericolo la vita della persona e provoca una incapacità della persona superiore a 40 giorni), gravissima (la malattia non è guaribile e provoca la perdita di un senso o di un organo o l’incapacità di procreare o la deformazione o lo sfregio del viso o una permanente incapacità della parola).

Vista la gravità della situazione, anche se le querele possono essere presentate personalmente, le consiglierei comunque di farsi assistere da un ottimo avvocato penalista. Ci sono validi professionisti in grado di aiutarLa nell’affrontare al meglio la denuncia e il conseguente eventuale processo.
Il diritto alla difesa, nel procedimento penale, è un principio inviolabile riconosciuto dalla Carta Costituzionale all’art. 24 e si estrinseca nel diritto e dovere di avere un difensore che guida la parte nel processo tramite consigli tecnici.

Rimango a Sua disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento e per eventuali integrazioni di quanto riferito che potrebbero ampliare i margini di azione.

Avv. Silvia Bardesono, Torino