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Software | Open source

OPEN SOURCE: COS’È E COME SI USA IL SOFTWARE “LIBERO”

di Enrico Alletto

articolo con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5

Open source

I software Open Source, insieme ai software liberi, sono programmi gratuiti che possono essere reperiti in Rete, scaricati e installati sul proprio computer legalmente, grazie a una speciale licenza. Conosciamoli meglio.

Il concetto di Open Source

L’Open Source (termine inglese che significa “sorgente aperto”, riferendosi al codice di sviluppo delle applicazioni) indica un programma per il computer rilasciato con un tipo di licenza tale per cui l’insieme di istruzioni necessarie per farlo funzionare sono accessibili a eventuali sviluppatori che volessero migliorarlo. La collaborazione spontanea fra tecnici genera un prodotto finale, in questo caso il software, che è la somma dei contributi di tutte le persone che hanno collaborato al suo sviluppo.

Da quest’idea trae spunto anche un’altra filosofia, quella dell’Open Content (contenuto aperto), che, anziché al software, apre alla condivisione di contenuti editoriali quali testi, immagini, video e musica. Risulta ovvio che il concetto stesso di Open inteso come apertura e condivisione globale ha tratto il massimo beneficio dall’esistenza di Internet.

Software “libero” e “Open Source”

Quando si parla di software libero e di Open Source si tende a pensare che i due termini siano sinonimi; in realtà, non è esattamente così. Un software libero è un programma informatico rilasciato con una particolare licenza che permette a chiunque di utilizzarlo, studiarlo, modificarlo e ridistribuirlo. Il software Open Source è un software che rispetta alcune convenzioni di distribuzione. Per esempio, il codice sorgente potrebbe essere disponibile a tutti, ma potrebbe esserne vietata la redistribuzione gratuita o la modifica. Un software con questo vincolo non può dunque essere considerato software libero, benché sia sicuramente Open Source, a sorgente aperto. Le differenze sono tuttavia sottili, il più delle volte legali e spesso comprensibili solo dagli “addetti ai lavori”, per cui possono essere considerate trascurabili dall’utente finale.

Le licenze “libere”: GPL e BSD

Per poter distribuire software sviluppato seguendo la filosofia Open Source sono nati progetti e iniziative che si occupano della stesura di licenze specifiche. Tra le tante, le più famose e utilizzate sono la GPL e la BSD, ciascuna delle quali presenta pro e contro; a seconda di cosa si vuole ottenere, si assegna alla propria opera l’una o l’altra licenza.

La licenza GPL consente ad altri di modificare e redistribuire un programma, a patto che tutti i miglioramenti apportati sino a quel momento rientrino anch’essi sotto la stessa licenza. Alcuni sviluppatori, ma anche molte aziende, vedono questo vincolo come una restrizione difficilmente superabile.

La licenza BSD consente di fare ciò che meglio si crede del programma rilasciato con questa forma di copertura. Chiunque può ridistribuire – anche con una licenza proprietaria e a pagamento – un programma BSD modificato, anche se in origine era gratuito, impedendo ai propri acquirenti e utilizzatori di modificarlo e redistribuirlo a loro volta.

Dal Progetto GNU alla nascita di un mito

Il Progetto GNU (acronimo di GNU is Not Unix, “GNU non è Unix”, per distinguerlo dal sistema operativo “chiuso”, Unix appunto) è nato nel 1983 per iniziativa dell’informatico statunitense Richard Stallman e consiste nella creazione di un sistema operativo, il Sistema GNU appunto, libero da vincoli di diritto d’autore e in grado di coprire ogni necessità informatica, anche attraverso compilatori, lettori multimediali e programmi.

Nel 2005 il cuore del sistema non era ancora stato sviluppato completamente, nonostante esistessero già programmi per l’uso quotidiano (come fogli elettronici) in grado di funzionare correttamente. In altre parole, i programmi “liberi” nati dal progetto GNU erano pronti, ma non esisteva ancora il sistema operativo, altrettanto “libero”, in grado di contenerli.

È a questo punto che, quasi dal nulla, spunta un giovane programmatore finlandese, Linus Torvalds, che scrive da zero la base di un sistema operativo tutto nuovo: il Kernel Linux (letteralmente, “il nocciolo – il cuore – di Linux”), grazie al quale è possibile usare il sistema GNU sino a quel momento sviluppato: nasce cosi il sistema operativo “libero” GNU/Linux. GNU si è unito in seguito ad altri progetti importanti che ruotano attorno al mondo Open Source, come GNU/GPL ed altri.

Il concetto di copyleft

Copyleft

L’espressione inglese copyleft, gioco di parole su copyright, individua un modello alternativo, e spesso speculare, di gestione dei diritti d’autore. Il gioco “di specchi” continua nella rappresentazione grafica: il copyright è normalmente indicato da una C contenuta in un cerchio; la stessa C, rovesciata, indica un’opera che riflette il concetto opposto.

Copyleft può essere un software, un’opera d’arte, un documento e persino l’articolo che state leggendo in questo momento. Chi scrive, infatti, desidera condividere e divulgare liberamente le proprie conoscenze, senza però dover rinunciare alla paternità della propria opera; per fare questo assegna al proprio testo una “Creative Commons“, un particolare tipo di licenza copyleft. In pratica, se il copyright vieta la copia e la divulgazione di un’opera, evocando nozioni come “a pagamento” e “chiuso”, il concetto di copyleft, nelle sue innumerevoli soluzioni e sfaccettature, è semplicemente il suo esatto contrario.

L’Open Source sui sistemi Windows

I programmi Open Source nascono dunque per sistemi operativi dalla filosofia e dalle caratteristiche molto diversi da quelli Windows. Molti programmi sono nati espressamente per essere installati su sistemi “liberi” come GNU/Linux proprio allo scopo di offrire un’alternativa al monopolio del sistema operativo di casa Microsoft.

Negli ultimi anni, il successo di questi programmi ne ha consentito la diffusione anche sui sistemi Windows. Conoscere, installare e utilizzare questo tipo di software partendo dal sistema operativo che tutti conosciamo è senza dubbio un passo molto importante per contribuire a intaccare un monopolio e di conseguenza per provare ad abbassare i costi generali degli strumenti informatici.

Un modello in espansione

Il sistema operativo Windows, così come la maggior parte del software a esso collegato, per esempio MS Office, funziona con un concetto diametralmente opposto a quello dell’Open Source: tutto il software è di proprietà dell’azienda produttrice (la Microsoft) e coperto da costose licenze d’uso e da pesanti restrizioni sulla copia e sull’installazione. Proprio per questi motivi, già da alcuni anni, gli addetti ai lavori hanno assistito alla diffusione dell’Open Source in molti ambiti dell’informatica, seppure sempre in settori di nicchia.

Nell’ultimo periodo, però, sempre più spesso l’utente domestico sente risuonare nomi, prima semisconosciuti, come Software Libero, OpenOffice, Firefox, Linux e Ubuntu. Una delle ragioni principali di questo fermento va paradossalmente ricercata proprio nell’uscita dei nuovi sistemi operativi di casa Microsoft. Risorse hardware rilevanti, lucchetti digitali su monitor, stampanti e altri componenti multimediali, sistemi anticopia che degradano la risoluzione di un video se il sistema non lo riconosce come originale, ecc. stanno diventando veri e propri cavalli di battaglia per i sostenitori del software Open Source, che fra l’altro è facilmente utilizzabile anche su hardware datato.

L’indipendenza dal software proprietario

Negli ultimi anni il software Open Source ha richiamato sempre maggior interesse da parte delle Pubbliche Amministrazioni europee. Uno dei principali vantaggi per gli enti pubblici consiste nella conquista di un’indipendenza nei confronti dei formati proprietari che vincolano i cittadini ad avere installati determinati software per accedere a servizi di pubblica utilità. Prevedere l’adozione di software Open Source consentirà agli enti e alle aziende che desiderano fornire un servizio ad accesso universale di raggiungere la quasi totalità dell’utenza e nel contempo di abbattere i costi del prodotto, aprendo margini di investimento.

In Italia, un esempio rilevante è quello dei programmi forniti gratuitamente a utenti e professionisti dall’Agenzia del Territorio e liberamente scaricabili dal suo sito web. Se da una parte questi software rappresentano un importante passo in avanti verso l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione, dall’altro vincolano l’utente ad avere installato sul proprio PC il sistema operativo di casa Microsoft, tagliando fuori altri diffusi sistemi come Mac OS (molto usato dai professionisti) o Linux (sempre più diffuso nel mondo).

Nel nostro Paese, nel dicembre 2003, è stato costituito l’Osservatorio sull’Open Source (nel CNIPA, poi DigitPA, oggi AGID), allo scopo di monitorare il fenomeno e indirizzare al meglio le risorse disponibili. La motivazione: “Tra i fenomeni significativi legati allo sviluppo dell’ ICT sta assumendo particolare rilievo quello che va sotto il nome di Software Open Source (OSS): qualsiasi sistema di gestione delle informazioni e delle comunicazioni che consente la disponibilità del codice sorgente. Per molti anni ha avuto diffusione limitata soprattutto agli sviluppatori, alle università e agli enti di ricerca. In seguito, con la nascita di numerose aziende distributrici di software a codice sorgente aperto, il modello open source si é diffuso in diversi paesi del mondo.”

Non è difficile prevedere, considerando gli alti costi del software proprietario, che sempre più enti e utenti nei prossimi anni preferiranno le alternative affidabili, semplici da ottenere e facili da installare messe a disposizione dal movimento Open Source.

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