IL VIAGGIO A LOS ANGELES DI CHIARA 🙂
Come arrivare
In 12 ore di volo da Milano o Roma, con Alitalia; con scalo a Londra/ Bruxelles, con British Airways/ Sabena (offerte da € 350 circa).
Dove dormire
Hilgard House (tel. 001310-2083945) o Hotel Del Capri (tel. 001310-4743511): buone camere b&b a prezzo abbordabile. Doubletree Hotel o Sunset Marquis se cerchi lusso e confort. Se ti trattieni almeno un mese, ti conviene affittare un appartamento (consulta le riviste gratuite The Renter, Apartment, For Rent): i prezzi, pur molto cari, saranno sensibilmente più convenienti che in hotel. E spesso c’è anche la piscina e la palestra.
Da non perdere
Il giro delle ville dei vip, tra Sunset Boulevard, Bel Air e Pacific Palisades, per sentirsi in un (tele)film. Un giro in rollerblades sulla Promenade di Santa Monica, per sentirsi californian style. Una giornata agli Universal Sudios o a Disneyland, per sentirsi molto… turisti (e divertirsi da matti!)
Escursioni
Non solo vip e shopping… Los Angeles è anche una base di partenza ideale per escursioni nei dintorni, sia nelle magnifiche spiagge dei surfisti che sulle vette. Ti piace passeggiare e arrampicarti? Per scoprire tutti i segreti dell’hiking, puoi leggere la guida The Ultimate Beginner’s Guide to Hiking, di Jen Brown.
Informazioni
Los Angeles Convention and Visitors Bureau, 633 W 5th Street, 60th floor, h. 9-17 lun-ven, tel. 001213-6247300
In valigia
In California il clima è mite quasi tutto l’anno, ma insieme al bikini e agli occhiali scuri (il sole è abbagliante), è utile una giacca a vento, per difendersi dalle fredde folate oceaniche. Indispensabili un abbigliamento a strati, che comprenda anche la tuta, scarpe da jogging o sneakers, cappellino con visiera e zainetto (dei veri must per integrarsi tra i californiani). Per la sera va un po’ di tutto, purché con sandali alti.
LOS ANGELES COME L’ASIA
La prima impressione, uscendo dal Tom Bradley Terminal del Los Angeles International Airport dopo quasi 16 ore di volo, è di essere sbarcata in Oriente. Los Angeles è veramente una città multietnica: la folla che ci accoglie è composta per lo più da indiani, filippini, cinesi, giapponesi, coreani e per trovare uno yankee dovremo aspettare di arrivare in albergo.
Ho scelto su Internet il Century Wilshire Hotel in Wilshire Boulevard, una delle principali direttrici cittadine: un’ottima base per visitare Hollywood, Beverly Hills, Santa Monica. Ma la realtà non corrisponde alle immagini, la “suite” è una stanzetta con angolo cottura e decidiamo di spostarci all’Hilgard House, a due passi dall’UCLA (University of California at Los Angeles), nel cuore del Westwood Village. Dopo una breve visita all’Università, cediamo al sonno da jet-lag alle cinque del pomeriggio e ci risvegliamo 12 ore dopo, all’alba. Qui la colazione si fa molto presto e siamo subito pronti per la nostra prima meta californiana che, facile a intuirsi, è Beverly Hills.
SU E GIÙ PER BEVERLY HILLS
Il bus non passa (scopriremo che si aspetta anche 50 minuti!), per cui coraggiosamente raggiungiamo a piedi, sotto il sole che è già alto alle nove del mattino, il classico viale di palme di Beverly Hills, che ci appare però un luogo normalissimo. Per incontrare Schwartzenegger e De Niro, ci spiega Giorgio (la guida conosciuta nella libreria Rizzoli del posto, dove abbiamo comprato l’ottima cartina Streetwise), bisogna andare al Café Roma, dove le star sorseggiano un drink in tarda mattinata, assaporando un vietatissimo sigaro Avana (ma chi si sognerebbe di sequestrarglielo?). Allo star-watching preferiamo però Rodeo Drive, con le vetrine scintillanti di Valentino, Fendi, Gucci, Prada, Ferragamo, Armani… Nella strada più elegante di Beverly Hills, la moda è quasi tutta italiana. Ritorniamo a Westwood, finalmente in bus. Purtroppo non siamo muniti di spiccioli (né dei discount tokens a prezzo ridotto, quasi introvabili), qui i conducenti degli autobus non maneggiano contanti e così ci tocca mettere diverse banconote in una macchinetta che non dà resto. Meno male che sui pasti possiamo risparmiare: in self-service come Shakey’s in Gayley St., un menu “all you can eat” costa solo 6$ e si mangia a volontà (anche le insalate, che in California sono ottime).
SULLA SPIAGGIA DI SANTA MONICA
Dopo un altro sonno di 12 ore, finalmente regolarizzato l’orologio biologico, prendiamo contatto con Giulio, italiano qui da 15 anni, che ci dà alcune dritte per sopravvivere a Los Angeles e ci consiglia di noleggiare al più presto un’automobile. Intanto continuiamo a girare a piedi, ed è proprio così che scopro un delizioso appartamento libero in un esclusivo condominio con piscina e palestra; il prezzo è un po’ caro, ma sempre meno che l’albergo e così, crepi l’avarizia, lo prendiamo: ora siamo dei veri losangelini. Il cielo è coperto (la California offre 300 giorni di sole all’anno: non ci resta che aspettare con fiducia) e ci rechiamo al Santa Monica Pier, dove una immensa spiaggia, che farebbe la felicità di ogni famigliola italiana, è semideserta, mentre le piste ciclabili che la attraversano sono gremite di ogni genere di veicolo a due, tre o quattro ruote (dal monopattino al passeggino ai rollerblades, passando per curiosi tricicli in cui si pedala stesi).
NELLA CASBAH DEL CINEMA
Ma io voglio andare a Hollywood… Là, penso, vedrò finalmente la vera California dorata. Vi giungiamo attraverso il verdissimo Sunset Boulevard, passando tra le ville dei divi (al 14209 abita Schwartzenegger; Madonna è invece di casa al 4519 di Cockeram Drive e Harrison Ford, prendete nota ragazze, in 655 Mc Culloch Road). Più che la Mecca, Hollywood pare la casbah del cinema: una folla multicolore cammina tra infiniti negozi di souvenir, parrucche, vestitini e scarpe per starlettes, fermandosi nelle attrazioni d’obbligo: prima tra tutte, il Mann’s Chinese Theatre, sul cui selciato le più grandi star del cinema, da Clark Gable a Marcello Mastroianni, hanno impresso le proprie impronte. Sulla Walk of Fame, migliaia di piedi calpestano irriverentemente le star dello spettacolo (circa 2000 celebrità, da David Niven a Tom Hanks, hanno una stella sul marciapiede, ma basta pagare 4000$). Decidiamo di non rendere omaggio al ciuffo di Elvis Presley e alle mutande autografate di Madonna esposti al Ripley’s Museum, né alla statua di Rambo al Museo delle Cere, e torniamo al Village, un po’ sorpresi del fatto che anche Marylin Monroe è ormai un marchio registrato.
DIFFICOLTÀ VALUTARIE
Una buona notizia è che abbiamo finalmente pagato l’affitto. Ci sono volute tre carte di credito, un fascio di traveler’s cheques e tre giorni: i precedenti hotel avevano, a nostra insaputa, “bloccato” somme considerevoli sulle nostre carte Visa, per assicurarsi il pagamento; inoltre, qui i manager degli appartamenti non accettano contanti e le banche americane non fanno servizio cambiavalute (per questo ci sono le poche sedi della Thomas Cook o della Afex), rendendo impossibile convertire gli euro in traveler’s cheques. Risolvo la questione, ma inizio a considerare seriamente di offrirmi per un lavoro di volantinaggio alla Pacific Bell. Il lavoro è già stato assegnato: vado a fare shopping ai saldi di Gap. Tra l’altro, qui si può comprare solo alle svendite (agli italiani tutto costa più del doppio, anche se i capi di Tommi Hilfiger e Polo Ralph Lauren sono a prezzi convenientissimi).
AI PIEDI DI SUPERMAN
Ma se i losangelini sono ormai i cinesi, i giapponesi, gli ispanici, perché non visitare proprio i quartieri dove originariamente si insediarono? Un viaggio di un’ora in bus ci porta a Downtown, a El Pueblo de Los Angeles, il nucleo originario della città. Dal 1781 ad oggi molto è cambiato e i messicani sono rimasti solo per vendere artigianato ai turisti (Olvera Street è un affollato mercatino, che unisce ai prodotti tipici cianfrusaglie americane) o offrire sombreri per foto a pagamento. Non indimenticabili neanche le adiacenti Chinatown e Little Tokyo, a parte un favoloso supermercato giapponese (Marukai Market), dove migliaia di specialità sbalorditive attirano i nostri sguardi. Qui siamo in piena Asia, le uniche presenze straniere siamo noi e la pasta Barilla, che spicca tra le scritte in giapponese. Evitiamo l’Hispanic District, i cui dintorni ci sembrano troppo malfamati, diamo un’ultima occhiata al City Hall (il grattacielo sormontato da una piramide incas, immortalato nel film Superman) e andiamo via, consapevoli che ci resterebbero da vedere Bunker Hill, il Broadway e il Garment District e il Museum of Contemporary Art.
IL CINEMA È SEMPRE TRA NOI
Finalmente un’occasione per vedere una vera star: alla Conferenza sulla Leadership Femminile, all’UCLA; interverrà Jamie Lee Curtis. Purtroppo, quando arriviamo, l’attrice è già andata via: non ci resta che consolarci con il pranzo gratuito, mentre un’applaudita donna in carriera ci spiega i segreti del suo successo. Eppure il cinema pare essere sempre intorno a noi: in Westwood Blvd., all’entrata di Borders (fornitissima libreria dove si possono leggere riviste e libri e ascoltare CD gratuitamente) un’insegna mi avverte che qui si gira un film, in cui potrei anche essere ripresa: se entro, è a mio rischio e pericolo (entro). E anche sotto casa un cartello annuncia, con tante scuse per il “disturbo”, che nei dintorni stanno per essere effettuate riprese cinematografiche…
Date le difficoltà di incontrare realmente una star, optiamo per Venice Beach, dove una variegata umanità offre, sull’Ocean Front Walk, il classico abbigliamento da surf californiano, anelli per le dita dei piedi e massaggi della testa, oltre a hot-dog in tutte le salse. E’ qui che abbiamo il primo vero incontro con la Los Angeles dei telefilm: a un tratto la zona viene recintata di giallo sino al mare, si riempie di poliziotti e non si passa più, almeno fino all’arresto della donna che sta sparando sugli agenti.
FINALMENTE ON THE ROAD
Ma la California è anche e soprattutto altro: perché non percorrerla anche noi “on the road”? Nel weekend affittiamo una Pontiac rosso fuoco (che Fabiana, l’amica romana conosciuta nel nostro condominio, definisce “molto coatta”) e ci dirigiamo a nord, seguendo l’Highway 1 e la US 101.
Finalmente immense praterie, foreste, verdissime colline ricoperte di fiori: i paesaggi che vediamo costeggiando il Malibu Creek State Park e la Los Padres National Forest non ci lasciano delusi. Attraversate Lompoc, Arroyo Grande, San Luis Obispo, Atascadero (luoghi in cui l’eredità messicana si fa sentire fortissima), giungiamo a Cambria, cittadina turistica molto amena, dove alloggiamo al Pine’s Lodge, in una caratteristica suite tra i pini con due caminetti, concessaci a metà prezzo. Qui siamo a sole cinque miglia dall’Hearst Castle, la favolosa dimora di William Rundolph Hearst, magnate dell’editoria americana e primo editore, tra l’altro, di Cosmopolitan. Non perdo l’occasione di una visita guidata, e ne vale davvero la pena. Dopo 13 km in pulmino attraverso le immense terre di Hearst, dove si avvistano cerbiatti in libertà (lo zoo privato, il più grande del mondo, è invece stato chiuso), giungiamo al Castle, o meglio al complesso di costruzioni particolarissime in cui l’editore viveva (nella Casa Grande), invitava i suoi ospiti, come Charlie Chaplin e Winston Churchill (nelle quattro guesthouses) e soprattutto collezionava opere d’arte di ogni tipo ed epoca. Ma l’Hearst Castle è in sé un’opera d’arte, anche se un po’ kitsch, tanto che l’architetto Julia Morgan (una volta tanto una donna) impiegò 28 anni per soddisfare i capricci del miliardario.
TRA LE SEQUOIE GIGANTI
La gita ci è piaciuta: il weekend successivo, in una Pontiac meno vistosa, ci dirigiamo a nord, attraverso la Freeway 5 e la 99, verso la zona dei parchi nazionali, prima tappa Visalia. Qui inizia a comparire la vera America rurale, che si massifica anche per mangiare (al buffet di “Hometown”, se si pazienta in fila, si può divorare veramente di tutto in una sala enorme), ma che preserva le bellezze della sua terra. Dovunque posiamo lo sguardo, una natura incontaminata e indomita ci sorprende; i paesaggi si fanno più selvaggi col crescere dell’altitudine e nel Sequoia National Park (imperdibile, non solo per la sequoia General Sherman, l’essere vivente più grande del mondo) siamo costretti a fermarci per la neve, ma lo spettacolo degli alberi imbiancati ci ha già compensato. La neve ci blocca a 2000 metri anche a Quaking Aspen, per cui torniamo alla base (Three Rivers, alle porte del parco), dopo aver presenziato al Redbud Festival.
TERREMOTI E INCENDI
Dopo le sequoie Los Angeles mi appare ancor meno desiderabile e preferisco evadere verso il mondo di celluloide degli Universal Studios, facilmente raggiungibili in metropolitana da Hollywood. Se non si va troppo per il sottile, qui si può passare una giornata veramente divertente, oltre che rivedere i set dei film più noti e imparare trucchi di scena.
Anche se non ho incontrato Brad Pitt, sono ritornata a casa contenta dopo aver viaggiato nel tempo a velocità folle, schivato i proiettili di un Terminator in tre dimensioni, affrontato un terremoto, essere stata inzuppata fino ai capelli da una cascata giurassica e infine asciugata dalle fiamme di un incendio.
Prima di partire, ho anche gustato un mordi-e-fuggi di quella che descrivono come la “vera” California: una gita a San Diego (notevoli la skyline di grattacieli e il porto) passando attraverso le spiagge più belle, come Torrey Pines e La Jolla. Pamela Anderson non c’era, i surfisti sì però.
Mentre volo a 10.000 metri di quota verso l’Italia, rifletto che ho imparato qualcosa: foreste e spiagge a parte, la California è un “sogno” solo nei film: la vera ‘America’ può essere ovunque.
Chiara