SILVIA AVALLONE VINCE IL PREMIO ELSA MORANTE

A vincere premi, Silvia Avallone è abituata: ne ha conquistati tanti, sin dal suo esordio letterario con Acciaio nel 2010. Nel 2024, il suo quinto romanzo, Cuore Nero, ha ottenuto, qualche mese prima del Premio Viareggio Rèpaci, il Premio Elsa Morante per la Narrativa. Ritirandolo davanti a migliaia di persone nell’Auditorium della RAI di Napoli, Silvia Avallone ha rivelato il percorso che l’ha portata a scrivere una storia difficile ma anche piena di speranza – come, in fondo, tutte le sue storie; e nata da una domanda: come si fa a vivere dopo aver compiuto l’irreparabile e pagato il prezzo della propria colpa in una prigione? La risposta, come ci spiega, l’ha trovata: «Dal male si esce attraverso le relazioni, andando controcorrente in una società che ci impone di vincere, di non fallire, di competere. Non è vero: dobbiamo aiutarci.»
Il Male e il Bene. Il Rancore e il Perdono. La Condanna e la Redenzione. Questi i temi forti di Cuore nero, il quinto romanzo di Silvia Avallone, che – nel 50esimo anniversario dalla pubblicazione de La Storia di Elsa Morante – le ha guadagnato il premio per la Narrativa intitolato alla scrittrice. Se la protagonista de La Storia subiva violenza, Emilia, in Cuore nero, è lei a commetterla. I dati indicano che solo il 4,2% della popolazione carceraria è di sesso femminile, perché le donne non commettono spesso omicidi; Cuore nero è ambientato in un carcere minorile femminile.
«Volevo confrontarmi con il tema del Male attraverso la letteratura», ci spiega Silvia Avallone. «Volevo capire quanto serve il carcere, e quanto la cultura, nel reagire a quel Male. Emilia, a 31 anni, si ritrova gettata nel mondo e si chiede: posso ancora innamorarmi, posso vivere, nonostante ciò che ho fatto?» Il Male commesso da giovani – Emilia diventa un’assassina a 16 anni – per la scrittrice non è paragonabile a quello compiuto da grandi: «Se un adolescente commette un delitto è anche colpa degli adulti che ha intorno, che non lo guidano né lo aiutano. Bisogna investire nella scuola, nell’insegnamento, nella cultura, nella comunità e nella solidarietà sociale per sconfiggere il Male, che è in gran parte prevenibile.»
Il confine tra il Bene e il Male, nella vita come nel romanzo, sembra essere poco definito: «Pensiamo ai Promessi sposi: il personaggio più buono, Fra’ Cristoforo, ci avete mai pensato?, è un assassino», dice Silvia Avallone, che è profondamente convinta del potere trasformativo delle parole. «La letteratura ci insegna che possiamo sempre cambiare; il più grande potere che abbiamo è quello di reagire alle nostre colpe e alle nostre sfortune. Per me era molto importante, attraverso i miei personaggi, dire: finché siamo vivi, la vita continua e ci chiama al cambiamento. Se abbiamo le parole per pensarci diversi, possiamo cambiare noi stessi e il mondo. In ogni crepa, carcere minorile, quartiere di periferia possiamo portare libri, cultura e solidarietà e dire ai giovani che ciascuno di loro è importante e merita il suo posto nel mondo. Così si fa davvero la rivoluzione contro il Male.»
Per scrivere Cuore nero, Silvia Avallone ha frequentato, portandovi i suoi libri e la scrittura, il carcere minorile maschile di Bologna. «Vorrei che quei ragazzi fossero qui, ora», dice. «Quello compiuto da loro è il male con la “m” minuscola di chi nasce in un quartiere sbagliato, nella famiglia sbagliata; dei giovani a cui nessuno ha detto che si può studiare, sognare con la propria testa, che la catena dell’illegalità, della violenza e del maschilismo si può spezzare.» Ed ecco, ancora una volta, il potere generativo delle parole, in grado di trasformare la società: «Siamo immersi in una cultura che vuole che la donna resti in un angolo, sia per forza “buona”, non reagisca all’uomo, che invece può fare del male. Dobbiamo usare le parole per ribaltare questa mentalità: se non possediamo il linguaggio in grado di cambiare il pensiero, è difficile cambiare le nostre azioni.»
In Cuore nero, la scrittrice usa appunto il linguaggio per trasmettere l’idea che il cambiamento, nell’universo femminile, è possibile, e non è nemmeno troppo distante. «Per me è stato molto importante raccontare un’Emilia cattiva, un femminile arrabbiato che si tenesse fuori dalla ‘gabbia’ che vuole le donne mansuete e docili; però, anche, raccontare un maschile che ascolta e si mette in discussione: quindi far saltare tutte gli stereotipi di genere che ci soffocano. Nel carcere minorile femminile che ho inventato (che è un carcere, quindi ha dei momenti di enorme ingiustizia), ho cercato di far venire fuori i desideri: noi donne siamo educate a essere desiderate e a piacere, non ad avere desideri e piaceri nostri, né alla libertà di far sentire la nostra voce, di essere ‘scomode’, di non piacere affatto.
Se la letteratura e il linguaggio possono veicolare le idee in grado di far progredire la società, la relazione è il canale in cui far passare la profonda empatia che, per la scrittrice, può salvare ogni vita umana. «È facile reagire al Male con altro Male: “non meriti niente”, “mi fai paura”; è difficile, invece, non essere egoisti ma solidali, non giudicare ma cercare di entrare nella vita degli altri per abbracciarla e, quindi, abbracciare la nostra. Usciamo di casa per incontrare le persone che hanno più bisogno di noi! Non restiamo indifferenti, ognuno nella propria stanza, ma abbandoniamo la nostra confort zone e incontriamo negli ospedali, nelle periferie, nelle carceri gli altri che hanno bisogno di essere guardati diversamente. In Cuore nero, in questo carcere difficile come ogni altro carcere, ho costruito una sorellanza in cui sono importanti l’amicizia, l’insegnante che ti esorta ad alzarti dal letto, che ti dice: “guarda che, se studi, ce la fai”. A ispirarmi le ragazze del romanzo sono stati alcuni giovani carcerati: in cella studiano sui libri universitari, anche se fuori gli avevano detto: “ma dove vuoi andare, cosa vuoi studiare?” Si stanno per laureare, anche grazie agli amici del carcere, che li hanno sostenuti, dicendogli: “guarda che puoi inventare un futuro diverso rispetto al destino che ti ha messo qui”.»
- Silvia Avallone nasce a Biella l’11 aprile 1984.
- All’Università di Bologna, con una tesi su La Storia di Elsa Morante, consegue la laurea in Filosofia.
- Nel 2010, con il suo primo romanzo – Acciaio – si aggiudica il Premio Campiello Opera Prima, il Premio Flaiano, il Premio Fregene, il Premio Città di Penne e il secondo posto al Premio Strega.
- Il suo secondo romanzo, Marina Bellezza (2013), vince il Premio Zocca Giovani 2014 e viene tradotto in Francia, in Olanda, in Germania, in Norvegia e in Svezia.
- Nel 2017 esce il suo terzo romanzo, Da dove la vita è perfetta, tradotto in Francia, in Olanda, in Svezia e in Slovacchia.
- Nel 2018 è nella lista dei 47 autori scelti dai bibliotecari svedesi per il premio “Contro Nobel” per la Letteratura.
- Nel 2019 riceve, nell’Aula Magna dell’Università di Bologna, la Medaglia Petrarca in qualità di ex allieva che si è distinta in campo letterario.
- Il suo quarto romanzo, Un’amicizia (2020), vince il Premio Croce Pescasseroli, il Premio Cimitile e il Premio Viadana 2021 per la Narrativa. I diritti del libro vengono acquistati in 16 Paesi stranieri per la pubblicazione e in Italia per una serie televisiva.
- L’8 marzo 2021 riceve l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana” dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
- Nel 2024 il suo quinto romanzo, Cuore nero, vince il Premio Elsa Morante per la Narrativa e il Premio Viareggio Rèpaci.
Immagine di Silvia Avallone: fotografia gentilmente scattata per Chiara Santoianni