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La musicoterapia, affascinante disciplina che cura da 5000 anni

Tempo di lettura: circa 5 minuti

COS’E UNA TERAPIA MUSICALE E COME SI SVOLGE

Musicoterapia - Curarsi con i suoni

Cinquemila anni, e non è ancora passata di moda. Oggi, anzi, se ne parla più che mai, in ambito scientifico-medico come in campo artistico, filosofico, sportivo. La musicoterapia, la disciplina che usa il suono in tutte le sue forme per apportare beneficio fisico e psicologico a chi ne ha bisogno, ha radici molto antiche e può far leva sulle parti più nascoste di noi. Qui ti raccontiamo come nasce la terapia musicale, e come si usa per il benessere emotivo.

Le origini della musicoterapia, dagli sciamani ai filosofi greci

La musicoterapia veniva praticata già dagli antichi sciamani, che la utilizzavano per provocare nei pazienti stati alterati che li portassero alla guarigione, e anche altre culture utilizzavano strumenti musicali nei rituali terapeutici. Euripide scriveva, nell’Alcesti: “Con l’aiuto della musica mi elevai al di sopra di tutte le sfere”, Socrate la riteneva il mezzo per realizzare alta filosofia e Platone citava le cure con la musica come rimedio per l’anima, in grado anche di far resuscitare i morti.

Una terapia complementare alla medicina

La musicoterapia ha conquistato con il tempo un posto accanto alla medicina ufficiale e oggi non è definita più una terapia “alternativa”, ma “complementare”. È infatti il medico, o lo psicologo, a indirizzare in molti casi il soggetto sofferente dal musicoterapeuta, riconoscendo la validità del suo contributo per alleviare i sintomi di alcuni disturbi. Il terapeuta dovrebbe saper ascoltare qualsiasi tipo di musica, per entrare in relazione con i “suoni del paziente” e capirlo profondamente; per un ruolo così delicato è essenziale la competenza, garantita da una certificazione rilasciata da una delle scuole ufficialmente riconosciute dal Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM, ex MIUR).

La musica, il nostro linguaggio primario

“In questo campo c’è molta cattiva informazione”, ci ha detto a Genova in un’intervista la prof.ssa Giovanna Mutti, autorità indiscussa nel settore (scomparsa nel 2023, è stata musicista e concertista; docente di Pedagogia e Psicologia Musicale al Conservatorio di Milano; Presidentessa, dal 1983, dell’AISMt – Associazione Italiana Studi di Musicoterapia; Segretaria, dal 1986, della World Federation of Music Therapy ed è considerata l’unica ‘pioniera’ italiana nel ramo).

“Quanti sanno che la musica è il nostro linguaggio primario? Da secoli l’uomo, attraverso il suono, ha costruito un linguaggio verbale che è influenzato dall’uso della musica. Già nel grembo materno ascoltiamo il battito del cuore e delle vene della mamma, la voce del papà, cui il feto risponde con movimenti già a 4-5 mesi: qualunque suono può influenzare l’essere umano, provocandogli emozioni”.

Nessuno nasce stonato

“Nessuno nasce stonato“, ci ha detto la professoressa Mutti. “Il non ‘sentire’ la musica è dovuto alla diseducazione. Il termine ‘musicoterapia’, diffuso e accettato in tutto il mondo, è limitativo. Ascoltare musica, rilassarsi o muoversi a ritmo, curarsi con la ‘farmacopea musicale’ non è strettamente musicoterapia, ma essa comprende tutto ciò, aprendosi ad aree diverse: medica, psicologica e pedagogica.”

Come si svolge una terapia musicale?

Il musicoterapeuta, dopo un’accurata anamnesi psicosonora (l’individuazione, cioè, di tutti i suoni, i rumori, le musiche graditi o no al paziente, e che comunque fanno parte del suo ambiente sonoro sin dalla nascita), prepara una lista di una dozzina di pezzi di 2-3 minuti ognuno, da far ascoltare nella fase di cura passiva.

Nella fase attiva, invece, è il paziente a suonare alcuni facili strumenti, per imparare a esprimersi in maniera più completa e a tirar fuori parti di sé ancora sconosciute. Lo strumento musicale ha infatti la caratteristica, a differenza della parola, di non indurre ansia e può avviare una comunicazione migliore con il paziente. L’aspetto più interessante della musicoterapia è, infatti, l’esplorazione dell’inconscio, i cui risultati sono spesso imprevedibili: sta al terapeuta incanalarli correttamente.

Ma la musicoterapia serve veramente?

Se si parte dal presupposto che “cura” nel senso di “prendere a cuore” la salute dell’individuo, e che dunque è sbagliato aspettarsi miracoli, si può dire di sì. Applicata inizialmente, in Italia, nel campo dell’età evolutiva e della riabilitazione, per favorire l’integrazione dei bambini portatori di handicap nelle classi scolastiche, la terapia musicale è stata poi impiegata con successo nella cura delle tossicodipendenze, dell’alcolismo, dei disturbi psicologici e psicosomatici, della depressione, dello stress, dell’ansia, oltre che nei casi di autismo e di handicap anche adulto, nel coma profondo, e – come strumento di prevenzione – nella gravidanza e nella preparazione al parto.

È inoltre utile, in generale, in tutti i casi in cui vi siano problemi di comunicazione e di relazione: agendo a livello relazionale e neurofisiologico, la musica provoca effetti sull’inconscio sonoro dell’uomo, e può portare a una più profonda conoscenza della propria personalità, migliorando i rapporti con se stessi e con gli altri e di conseguenza la qualità della vita. “La musicoterapia consente una continua crescita soggettiva”, dice Gerardo Manarolo, autore de L’angelo della musica. Musicoterapia e disturbi psichici (Omega, Torino, 1996). “Non ci si deve aspettare che migliori la nostra sofferenza, ma che ci aiuti facendo leva sulle nostre potenzialità interne”.